giugno 8, 2010

C’era una volta un paese piccolo piccolo che si chiamava Làcanas. Qualcuno sostiene che si chiamava così perché si trovava vicino al mare e vicino alla montagna, con un clima non troppo freddo né troppo caldo. Io ho sempre pensato che si chiamasse così perché vi succedevano cose strane, in quella linea di confine che separa la realtà dal sogno. Lacanas, in sardo, vuol dire proprio confine.
E ora vi racconterò una storia che ho sentito tanto tempo fa da un vecchio che diceva di conoscere bene quel paese.

Pur essendo minuscolo, Lacanas aveva proprio tutto: una strada principale, una piazza, la scuola elementare, la caserma e il municipio. E un campanile che era l’orgoglio di tutti. Un campanile così alto che il sagrestano diceva di poter vedere dalla sua cima il mare di Bosa. Una volta disse di aver visto un mercantile che attraccava nel porto di Alghero. Un’altra volta raccontò di una balena che disegnava grandi cerchi nell’acqua al largo di Tresnuraghes.
Gli abitanti di Lacanas erano persone tranquille. Si facevano i fatti propri e non si ponevano troppe domande. Quando pioveva lasciavano che piovesse e quando veniva l’autunno non si opponevano alla caduta delle foglie. Vivevano così, osservando il corso naturale delle cose, coltivando i campi e cercando di mantenere quell’armonia che da sempre regnava fra loro.
Era una mattina di Giugno, il sole era alto nel cielo. Gianfilippo Mannino, il maresciallo dei carabinieri, arrivato poche settimane prima a Lacanas da una città del nord, stava passando vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Nel suo giro di perlustrazione gli piaceva l’idea di passare davanti alla chiesa, sperava di incontrare qualcuno nella piazza, qualcuno cui mostrare la divisa e il suo cappello dalla visiera ben lucidata. A quell’ora però non c’era nessuno: i bambini erano a scuola e gli adulti erano al lavoro nei campi. Un po’ deluso, Mannino si fermò e guardò per terra, come se stesse cercando un pensiero difficile. Fu in quel momento che vide l’ombra lunga del campanile. “Bella quest’ombra” pensò, al rientro mi fermerò qui a prendere un po’ di fresco”.
Più tardi, mentre faceva il percorso a ritroso, accaldato per la camminata, non vedeva l’ora di arrivare all’ombra. Da lontano guardò l’orologio grande della torre campanaria. “C’è una sola lancetta” disse fra sé e sé, “è senz’altro mezzogiorno”. Poi pensò: “A mezzogiorno sparisce sempre una delle due lancette, quel sagrestano non me la conta giusta”. Poi, giunto sulla piazza, si fermò nel punto che aveva stabilito qualche ora prima, ma con grande sorpresa si accorse che l’ombra era sparita. Rimase lì a pensare, sbigottito, poi andò via, determinato a scoprire cosa fosse successo.
La mattina dopo tornò in piazza di buon ora e si appostò dietro l’angolo di una casetta: l’ombra era ricomparsa. Ma, poiché non si dava ragione di quanto aveva visto il giorno prima, rimase lì ad osservare.
Dovete sapere che proprio di fronte alla chiesa di san Bartolomeo c’era l’unico negozio di Lacanas, una specie di bazar dove si vendeva di tutto, dai chiodi di acciaio alle saponette profumate. Il proprietario era un certo Paolino Baralla, un vecchietto che in tutta la sua vita non aveva fatto altro che il commerciante. Quando arrivava la bella stagione, Paolino Baralla, dopo aver rimesso in ordine gli scaffali, prendeva una scopa di saggina e usciva fuori in strada a spazzare la polvere e a spruzzare un po’ d’acqua su tutta la piazza. Cominciava dal lato del suo negozio e lentamente, molto lentamente, in modo da stare sempre all’ombra, arrivava fino alla parete della chiesa. Così anche quel sabato mattina.
“E’ lui, il colpevole è lui”, continuava a ripetere il maresciallo. Guardava prima a destra e poi a sinistra, poi in alto e poi in basso. E sottovoce ripeteva: “E’ lui, è lui”.
In quel momento, un contadino che rientrava dal lavoro vide Mannino che parlava da solo. Incuriosito si avvicinò: “Qualcosa che non va?” chiese, molto educatamente.
“Più di qualcosa, in questo paese c’è qualcuno che ruba le lancette e l’ombra del campanile”.
“Dite davvero?”
“Proprio così. Guarda non ce n’è neanche un filo, e poco fa ho visto Paolino Baralla che la raccoglieva e se la portava nel suo negozio”.
“Per farne cosa?” domandò Mario Faldino, facendo finta di credere alle parole del maresciallo.
“Per venderla, ecco per cosa”.
“Beh, col caldo che fa, andrà certamente a ruba”.
“Glielo impedirò. L’ombra è di tutti”.
“Ma dove la nasconde?”
“Questo dobbiamo ancora scoprirlo. Ma ci metterò un minuto, ora ti faccio vedere”.
“Andrà a perquisire lì dentro?”
“Non c’è bisogno, il bambino che sta arrivando ci sarà d’aiuto”.
Filippetto, cavalcando un cavallo immaginario, galoppava a tutta velocità in direzione dei due uomini: “trù su caba’, tru su cà” ripeteva, incitando il destriero.
Il maresciallo Mannino lo fermò pochi metri prima che arrivasse all’angolo della piazza.
“Come mai non sei a scuola?”
“Oggi dovevo aiutare in casa”.
“Lo sai che a quest’ora non dovresti trovarti in strada a bighellonare?”
“Già, non dovresti” aggiunse Faldino, “la mamma del sole potrebbe rapirti e bruciarti fra le sue fiamme?”
“Veramente mi ha mandato la mia mamma” rispose Filipetto, “a prendere un po’ di zucchero e un tubetto di conserva”.
“E dove?”
“Qui dietro, dal signor Paolino. E da chi se no?”
“Ecco, bravo, allora devi farmi un piacere”.
“Comandi!”
“Compra anche trenta grammi di ombra di campanile. Ecco a te cento lire, il resto lo potrai tenere per te”.
“Va bene” rispose Filippetto, senza fare una piega. E subito diede un colpo di speroni e fece ruotare il frustino invisibile per rimettersi al galoppo. Dopo che fu sparito dietro la tenda scacciamosche del negozio, i due uomini rimasero in silenzio per un paio di minuti. Il maresciallo, al contrario di Faldino che si mostrava calmo, sembrava innervosito dall’attesa. Per tutto il tempo non smise di fare avanti e indietro e continuò a strizzare velocemente gli occhi, finché il bambino non ricomparve.
“Eccolo che arriva” disse Mario Faldino.
Il maresciallo gli andò subito incontro: “Grazie Filippetto, sei proprio un bravo fanciullo”, disse, mentre afferrava il pacchetto che il bambino gli stava porgendo.
“Ho speso quasi tutto, faceva novantacinque lire”.
“Le cinque sono tue, vai con Dio”
“Veramente le ho già spese, ho preso anche io un po’ di quella roba”.
“Che roba?”
“Le mentine”.
“Ma gli hai detto che volevi ombra di campanile?”
“Sì, ma è la stessa cosa”.
Senza aspettare che l’ufficiale replicasse, il birboncello imitò il nitrito del cavallo e corse via veloce. Mannino aprì il pacchetto, una specie di imbuto di carta giallina. Dentro c’erano solo piccoli dischetti bianchi con un buco al centro. “Vedi”, disse con soddisfazione, “i bambini di Lacanas credono di mangiare mentine, in realtà si stanno mangiando l’ombra del campanile”.
“Forse così le tiene al fresco”, provò a ironizzare Mario Faldino.
“Non dire sciocchezze, sta commettendo un reato e dobbiamo impedire che continui. Devo solo acquisire altre prove. Vieni con me, farai da testimone”.
Entrarono nel negozio. Paolino Baralla, che fra le altre cose vendeva anche i tessuti al sarto del paese, in quel momento stava sistemando un rotolo di stoffa.
Gianfilippo Mannino, senza neanche rispondere al saluto del vecchietto, fece un cenno con la testa e disse: “Voglio un po’ di quella roba”.
“Subito, Maresciallo! Quanta gliene serve?”
“Facciamo trecento grammi”.
“No, questa si vende solo a metraggio”.
“Allora me ne dia trenta centimetri”.
Baralla prese il metro e misurò trenta centimetri di panno.
“Non faccia il furbo, non intendevo quello”.
“Non capisco”.
“Voglio trenta centimetri di ombra di campanile”.
“Oh, quella non è in vendita, soprattutto a quest’ora”.
Così dicendo, il vecchietto guardò il suo orologio da tasca e aggiunse: “Fra cinque minuti, credo di poterla accontentare”.
“Bene, aspetterò qui”.
Il contadino, intanto, continuava ad annuire, come se volesse dare ragione ad entrambi.
In quei cinque minuti Mannino continuò a tamburellare con le dita sul bancone di legno. Mario Faldino valutò la qualità delle sementi esposte nel ripiano di uno scaffale. E Baralla, molto lentamente, ripiegò la stoffa. Poi disse: “Ecco… ci siamo, adesso a trenta centimetri dovremmo arrivarci”.
A un suo comando, i tre uomini uscirono dal negozio. Baralla guidò gli altri due finché giunsero sul retro della chiesetta. Poi si fermò e puntò l’indice verso l’angolo di una parete: “Sono un po’ più di trenta centimetri, ma glieli regalo comunque” disse, mostrando al maresciallo quel poco d’ombra che il campanile aveva ripreso a proiettare. Faldino, riuscì a stento a trattenere una risata.
“Allora è qui che la spinge con la scopa tutte le mattine. La nasconde sotto i muri. Ma perché lo fa?”
“Lo faccio per preservarla dal sole. A mezzogiorno e troppo forte e rischierebbe di bruciarsi”.
“Anche questo è vero. Però non la venda più ai bambini, o sarò costretto a denunciarla per spaccio abusivo di ombra”.
Baralla avrebbe voluto rispondere che per i bambini di Lacanas non c’era cosa più buona dell’ombra del campanile. Ma si limitò a dire che in futuro avrebbe rispettato la legge.
Il maresciallo fece un saluto militare e si congedò. Mentre si allontanava, Mario Faldino chiese a Baralla se gli erano rimasti un po’ di semi di pazienza. Glielo disse aumentando il volume della voce, in modo che Mannino sentisse.
“Qualcosa dovrei ancora averla”, disse il vecchietto.
“Allora, se mi fai un buon prezzo, li compro. Ho preparato il terreno, giù in campagna, domani li pianterò”.
“E’ meglio se aspetti qualche giorno” gli suggerì Baralla, “quando ci sarà la luna piena”.